Di tutte le forme con le quali l’essere umano può esprimersi la più affascinante è il sogno, non quello notturno, involontario e psicanalitico, ma quello a occhi aperti, col quale il desiderio si fa corposo e tangibile anche se solo nella mente.
Si comincia da piccoli quando gli odiosi adulti ci chiedono: che farai da grande? E lì si sprecano vigili del fuoco, astronauti, modelle, cantanti.
Ma ci sono coloro che invece hanno sin dall’infanzia un tarlo, una fissazione che perseguono con energia e fortuna, fino a trasformare il sogno, l’ambizione mentale in realtà.
Questo non capita spesso: non uno su mille ce la fa (per dirla come Gianna Morandi), ma forse dieci su cento.
Il che sarebbe una percentuale altissima.
Ma forse il punto non è lì.
Sebbene il nostro modello sociale tenda a giudicare tutto sulla base del successo, come se questo fosse la chiave per interpretare il valore umano.
Il che, ovviamente, non è.
Avere successo è un motivo di gratificazione altissima, specie se raggiunto con fatica e impegno, anche se non sempre a questo corrisponde una soddisfazione personale.
Perché la realizzazione di se stessi è sempre e comunque interiore.
Lì i sogni si infrangono: se non siamo di fronte a noi stessi come abbiamo sognato di essere.
E’ bello lavorare sin da piccoli alla costruzione di un sogno.
Ma altrettanto stupendo è costruire se stessi come una realtà che non ha bisogno di sognare un desiderio di diversità.
Un articolo di Cesare Buonamici su Diva, 14/05/13